Santa Caterina d'Alessandria Da Avvenire 10 aprile 2001

LA DENUNCIA Dai dati '99 un quadro drammatico, fra oppressione di Stato e violenze estremiste
Un pianeta di martiri
160 mila le vittime: rapporto sui cristiani perseguitati
Il dossier, stilato da cattolici e protestanti francesi, punta il dito contro le situazioni in Cina, Vietnam, India, Pakistan, Iran, Sudan e Nigeria.

Simona Serafini

PARIGI. Minoranze cristiane minacciate è il titolo di un documento pubblicato in Francia dalla Commissione cattolica Justice e Paix, dalla Federazione protestante e dall'Acat, il movimento interconfessionale di lotta contro la tortura. Attraverso l'analisi della situazione politica e religiosa di sette Paesi (Cina, Vietnam, India, Pakistan, Iran, Sudan e Nigeria), il documento traccia una «mappa» delle persecuzioni anticristiane nel mondo, senza ignorare altre minoranze oppresse (come i Falun Gong in Cina). Le testimonianze sono state raccolte tra mille difficoltà, via Internet e attraverso associazioni presenti sul «campo» come Eglises d'Asie. Altre fonti: il Rapporto speciale sull'intolleranza religiosa dell'Onu e il Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo del Dipartimento di Stato americano. Il documento si concentra su sette Paesi particolarmente «difficili». Ma altri avrebbero meritato le luci dei riflettori (e le avranno in futuro). «Siamo perfettamente consapevoli delle lacune - ha sottolineato Jacqueline Madinier di Giustizia e pace -; mancano ad esempio l'Arabia Saudita, l'Egitto e soprattutto l'Indonesia, dove i fatti sono ancora troppo recenti per consentire analisi affidabili». Secondo l'Asc (Aiuto alla Chiesa che soffre) nel '99 i cristiani uccisi a causa della fede sono stati 160 mila e nel 2000 - si stima - sono aumentati. Cifre terribili, rispetto alle quali la comunità internazionale mostra insufficiente consapevolezza, mentre «le grandi organizzazioni non governative come Amnesty International» - denuncia la Madinier - non s'interessano a sufficienza alla «persecuzione dei cristiani». Del resto anche i responsabili delle comunità cristiane perseguitate -per ovvie ragioni - preferiscono il silenzio. Discriminazione e persecuzione oggi non sono più limitate ai Paesi marxisti, ma diffuse e «confuse» con le molte guerre etniche. I Paesi occidentali sottovalutano il fenomeno, mentre le Chiese - anche per non essere tacciate di polemica antiislamica - talvolta smorzano i toni.
Il documento distingue le responsabilità dello Stato da quelle dei gruppi estremisti (come in India o Pakistan). In Cina dal '99 si è intensificata la repressione di individui e gruppi che non accettano il controllo politico. Per loro, persecuzione e carcere. Monsignor Han Din-Xiang, dopo 20 anni di prigione, nel dicembre '99 è stato nuovamente arrestato. Stessa sorte nel febbraio 2000 per l'80enne vescovo «clandestino» Jean Wang Shudao, che ha passato 26 anni tra lavori forzati e carcere.
In Vietnam i cristiani sono il 7%. La nuova costituzione garantisce la libertà di culto ma il potere non rinuncia al controllo delle Chiese. Particolarmente perseguitati gli evangelici e - dopo massicce conversioni - alcune minoranze etniche. L'India è uno Stato laico. Ma dal '98, dopo l'arrivo al potere di un partito nazionalista induista, cristiani e musulmani vengono discriminati per la loro presunta estraneità culturale alla «identità» nazionale. Situazione drammatica in Iran per chi non abbraccia la religione di Stato. Ogni attività verso l'esterno è bollata come proselitismo e severamente punita. In Sudan, altro Stato a maggioranza islamica, la minoranza cristiana (13% della popolazione) è vittima dell'intolleranza. Nel nord del Paese dal 1969 non è più consentito costruire chiese; nel sud la ribellione delle popolazioni animiste e cristiane viene schiacciata con i bombardamenti, i rapimenti e l'islamizzazione forzata. Nel nord della Nigeria si tenta con la forza di introdurre la legge islamica. Il drammatico corollario:chiese bruciate, rappresaglie, morti a migliaia e cristiani in fuga verso il sud.

Simona Serafini

San Sebastiano L'INTERVISTA Parla Jean-Etienne de Linares (Acat-France)
L'accusa: «Persecuzioni, l'Occidente chiude gli occhi»
«L'opinione pubblica può influenzare i governi»

PARIGI. (S.Ser.) L'Acat (Actions des Chrétiens pour l'abolition de la torture) si batte da anni per essere «voce di chi non ha voce». Per una società civile attiva e informata, capace di opporsi alle persecuzioni e alla tortura. Jean-Francois Bernard, presidente di Acat-France, spiega sul Courrier di marzo i loro metodi di lavoro. «L'Acat si è data una regola fondamentale: prima di ogni nuova azione stabilisce un contatto con associazioni locali di fiducia. Una precauzione contro eventuali errori di giudizio da parte nostra. E un mezzo per essere efficaci a lungo». Il sostegno alla società civile è fondamentale nella lotta per il rispetto dei diritti dell'uomo. Il documento Minoranze cristiane minacciate risponde a questi criteri: informazione raccolta «in loco», sostegno alle popolazioni perseguitate, mobilitazione dell'opinione pubblica mondiale, come spiega Jean-Etienne de Linares, delegato generale di Acat-France.
La persecuzione delle minoranze cristiane è un fatto nuovo?
No, affatto. Eppure non si fa nulla. I diritti delle comunità cristiane vengono regolarmente violati, ma queste violazioni non trovano eco nelle nostre società. Il documento nasce dunque dalla necessità di mobilitare l'opinione pubblica, di informare e sensibilizzare: un lavoro che dovrà continuare a lungo. La solidarietà si dimostra in modi concreti. In primo luogo bisogna che i cristiani per primi sappiano che le persecuzioni possono giungere a forme estreme come l'omicidio, ma che sono praticate anche forme meno brutali come la discriminazione «mediata» dalla burocrazia, che colpisce soprattutto le minoranze e le donne.
Cosa possiamo fare sul piano giuridico e politico?
Se l'opinione pubblica è informata, finisce per esercitare una notevole pressione sul governo del suo stesso Paese, e di conseguenza sulle relazioni diplomatiche e commerciali con i Paesi teatro delle persecuzioni. Nei Paesi in cui avvengono persecuzioni anticristiane, la Chiesa viene accusata - in particolare - di proselitismo.
Cosa si può rispondere?
Per sua natura il cristianesimo non è «passivo». Credere in Dio comporta l'annuncio del Vangelo, una pratica pubblica e una presa di posizione nei confronti della gestione del potere. Il cristiano crede in una verità che a volte si oppone a quella del potere. Come accade nei regimi comunisti.
Cosa si aspetta da questa campagna di sensibilizzazione?
Vorremmo fosse evidente a tutti che il diritto alla libertà religiosa fa parte integrante dei diritti dell'uomo. Se si lotta contro il razzismo o contro la barbarie verso le donne, si lotta anche contro la discriminazione religiosa: tutte queste cose sono così intimamente legate che non si può impegnarsi in una direzione escludendo le altre.


Il Martirologio degli ultimi 20 anni (1980/2000)

Roma (Fides) - Secondo i dati in possesso di Fides, nel decennio 1980-1989 hanno perso la vita in modo violento 115 missionari. Tale cifra però è senza dubbio in difetto poiché si riferisce solo ai casi accertati e di cui si è avuta notizia.

Il quadro riassuntivo che pubblichiamo di seguito, relativo agli anni 1990-2000, presenta un totale di 604 missionari uccisi, sempre secondo le informazioni di Fides. Il numero è sensibilmente più elevato rispetto al decennio precedente, tuttavia devono essere anche considerati i seguenti fattori: il genocidio del Rwanda (1994) che ha provocato almeno 248 vittime tra il personale ecclesiastico; la maggiore velocità dei mass media nel diffondere le notizie anche dai luoghi più sperduti; il conteggio che non riguarda più solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutto il personale ecclesiastico ucciso in modo violento o che ha sacrificato la vita consapevole del rischio che correva, pur di non abbandonare le persone che gli erano affidate (i "martiri della carità" secondo l’espressione di Giovanni Paolo II).

ANNO

TOT

VES

SAC

DIAC

FRAT

REL

SEM

IVC

CAT

LAI

VOL

1990

17

10

7

1991

19

1

14

1

3

1992

21

6

2

13

1993

21

1C+1

13

4

1

1

1994

26

20

1

4

1

1994*

248

3

103

47

65

30

1995

33

18

1

3

9

2

1996

48

3

19

8

13

1

2

1

1(ct)

1997

68

1

19

1

7

40

1998

40

1

13

5

17

4

1999

32

17

9

4

2

2000

31

18

1

7

3

1

1

* = Dati riferiti solo al massacro avvenuto in Rwanda.

VES: vescovi; C: cardinali; SAC: sacerdoti diocesani e religiosi; DIAC: diaconi; FRAT: religiosi non sacerdoti; REL: religiose; SEM: seminaristi; IVC: membri di istituti di vita consacrata; CAT: catechisti; LAI: laici; VOL: volontari; ct: catecumeno. (Fides 5/01/2001)

TURCHIA - Un cristiano sotto processo per offese all’Islam

Diyarbakir (Fides) – Kemal Timur, cittadino turco 32enne di religione cristiana protestante, è sotto processo con l’accusa di oltraggio all’Islam e Maometto. Lo denuncia un rapporto inviato a Fides da Middle East Concern, organizzazione che difende i diritti umani in Medio Oriente. Middle East Concern ha raccolto l’appello dell’Alleanza delle Chiese Protestanti in Turchia.

Kemal Timur è alla sbarra (Tribunale Penale di Diyarbakir, caso n. 2000/2894) per aver violato la legge n. 64/1 del Codice penale turco, che punisce chi offende testi, valori e profeti dell’Islam. La prima udienza del processo, fissata il 30 gennaio, è stata rimandata al 27 marzo, perché il testimone che accusa Timur non si è presentato in tribunale. Timur ha presentato ai giudici la sua difesa, affermando di non aver mai insultato l’Islam e di aver soltanto distribuito pubblicazioni del Nuovo Testamento.

All’inizio del 2000, Timur è stato fermato mentre distribuiva copie del Vangelo a Diyarbakir, città nel Sudest del paese. La polizia lo ha interrogato per otto volte, senza trovare niente di illegale. Il 1° maggio del 2000 le forze dell’ordine lo hanno arrestato, presentando un falso testimone che accusava Timur di aver oltraggiato l’Islam e Maometto. Solo nel dicembre 2000 il cristiano ha appreso di un’indagine aperta nei suoi confronti cinque mesi prima e ha scoperto che i testimoni in causa sono tre, due dei quali sono per Timur perfetti sconosciuti.

Non è il primo caso di violazione della libertà religiosa in Turchia. A marzo e maggio del 2000 Ercan Sengül e Necati Aydin, cristiani turchi della città di Izmir, hanno subito simili accuse ma sono stati assolti. La Corte ha appurato che i testimoni dell’accusa erano stati indottrinati dalle forze dell’ordine. Dopo il proscioglimento, i due hanno denunciato le autorità locali di polizia per abuso di potere.

Su una popolazione di 64 milioni di persone, i cristiani n Turchia sono lo 0,2%. La Costituzione turca sancisce la separazione fra religione e stato e garantisce libertà di credo e di culto. Ma l’Islam, professata dal 99% della popolazione, è in pratica religione di stato. Un Ufficio governativo per gli Affari religiosi gestisce i rapporti con le religioni, e supervisiona tutte le attività legate all’Islam, nominando e retribuendo la gerarchia musulmana degli imam e degli hatips. Il proselitismo non è illegale. Secondo Freedom House, associazione americana che difende la libertà religiosa, alcuni cristiani che hanno confessato pubblicamente la loro fede sono stati fermati dalla polizia con l’accusa di disturbo alla pace civile. (16/2/2001)

BHUTAN
Le autorità civili ai cristiani: abiurate o lasciate il paese!

Roma (Fides) – I cristiani in Bhutan affrontano la più aspra persecuzione della loro storia. In un dispaccio inviato a Fides, Christian Solidarity Worldwide afferma che i credenti in Cristo (circa 65.000, lo 0,33 % della popolazione) sono terrorizzati e minacciati: "Abbandonate la vostra religione, o lasciate il paese!".

Il Bhutan, l’unico regno buddista nel mondo, non ha una costituzione che garantisce i diritti dei cittadini. Non vi è nel paese nessuna garanzia legale per la libertà di religione. Il Buddismo è la religione di stato e i non buddisti soffrono discriminazioni politiche e sociali. Il 70,1 % della popolazione (1,8 milioni di persone) è costituito da buddisti lamaisti, il 24% è indù, il 5% musulmana, lo 0,6% animista, lo 0,33% cristiana.

La persecuzione contro i cristiani è ora estesa e sistematica, villaggio per villaggio. La Domenica della Palme, l’8 aprile scorso, autorità civili e agenti di polizia hanno rastrellato le chiese per registrare i nomi dei credenti. Molti pastori protestanti sono stati arrestati, hanno subito interrogatori e minacce di lunga detenzione. Altri fedeli sono fuggiti per paura di essere identificati.

La campagna persecutoria è scattata nel 2000, quando il governo ha inviato a impiegati pubblici e privati speciali moduli da compilare. I moduli chiedevano ai cristiani di sottoscrivere "norme e regole che sovrintendono la pratica della religione". Le pene per i credenti di religione cristiana sono: impossibilità di una libera educazione per i bambini, nessuna assistenza medica, divieto di viaggi all’estero e altre sanzioni.

Un cristiano del Bhutan afferma: "E’ in atto nel paese una persecuzione molto dura. Ai cristiani si impone di abiurare o lasciare il paese. La libertà di religione è stata spazzata via. In alcune città i cristiani sono malmenati a causa della loro fede e non possono più riunirsi. Non hanno promozioni sul lavoro, subiscono licenziamenti immotivati, espulsione dal paese, revoca della licenze commerciali e diniego di tutti i benefici dell’assistenza pubblica".      (Fides 20/04/2001)

CINA
Ondata di arresti a vescovi, sacerdoti, laici della chiesa sotterranea

Città del Vaticano (Fides) – Una serie di arresti a Pechino, in Hebei, Fujian, Jiangxi, Mongolia Interna sta mettendo in grave difficoltà la Chiesa cattolica non ufficiale proprio nelle zone dove è più diffusa. Informazioni giunte a Fides affermano che il vescovo non ufficiale di Pechino, mons. Mattia Pei, 82 anni, è stato arrestato agli inizi di aprile. Mons. Pei, ricercato da anni, era sempre riuscito a sfuggire a controlli e arresti.

Intanto la Kung Foundation di Stanford (Connecticut, USA) afferma che anche il vescovo non ufficiale di Yixian (Hebei), mons. Shi Enxiang è stato arrestato dalla polizia il 13 aprile scorso (Venerdì Santo) a Pechino. Mons. Shi, 79 anni, è vescovo dall’82. Ha già passato 30 anni in prigione. L’ultima sua detenzione risale al periodo ‘90-‘93. Le autorità cercarono di catturarlo ancora nel ’96, ma mons. Shi riuscì a sfuggire . È rimasto nascosto fino al 13 aprile.

L’Hebei è la regione con la massima concentrazione di cattolici, circa 1 milione. È anche il luogo dove vi sono forti comunità di cattolici sotterranei. Interrogato dall’AFP, mons. Pan Deshi, vescovo patriottico di Baoding (non riconosciuto dal Vaticano) ha detto di "non aver sentito nulla del suo [del vescovo Shi] arresto". Egli ha anche negato che la polizia lo abbia maltrattato in passato. La polizia, egli ha dichiarato "ha solo cercato di educarlo". A questo proposito, anche il portavoce della polizia di Baoding ha dichiarato di "non aver inteso parlare dell’arresto" del vescovo Shi Enxiang.

La Kung Foundation dà notizia di altri arresti:

Personalità della chiesa di Pechino, hanno dichiarato a Fides che "arresti prima delle feste di Pasqua o di Natale sono piuttosto usuali". Essi però affermano che quest’anno durante il periodo pasquale vi era una "grande tensione". Secondo alcuni osservatori l’ondata di arresti – a cui si devono aggiungere le decine di vescovi sotterranei agli arresti domiciliari – rientra nella campagna di eliminazione della chiesa sotterranea lanciata nel ’95 e riattizzata dopo la canonizzazione dei martiri cinesi, avvenuta in Vaticano il 1 Ottobre 2000. Non va esclusa l’ipotesi che il governo, avvicinandosi la data per l’entrata nel WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), voglia eliminare ogni forma di organizzazione non strettamente controllato dallo stato. Rientrano in questo quadro gli arresti di alcuni professori universitari, dissidenti non violenti per la democrazia, membri della Falun Gong, avvenuti nei giorni scorsi. Secondo stime di accademici cinesi (cfr. Fides 16/3/2001), l’entrata della Cina nel WTO produrrà nel paese centinaia di milioni di disoccupati      (Fides 23/04/2001)

SUDAN
Cristiani in preghiera frustati e imprigionati

Roma (Fides) – Riunirsi in preghiera può costare molto caro. I leader di 10 denominazioni cristiane hanno protestato con il governo del Sudan per il trattamento riservato ai cristiani nel periodo pasquale. Oltre 100 fedeli sono stati arrestati e hanno subito dure condanne, in seguito a disordini scoppiati per la cancellazione di una celebrazione ecumenica pasquale. Inoltre il lunedì dopo Pasqua, 16 aprile, un aereo con a bordo il vescovo di El Obeid, mons. Macram Max Gassis, in visita pastorale ai cattolici nel Sudan centrale, è stato attaccato in un aeroporto nella regione dei monti Nuba con bombardamenti di truppe governative. Il vescovo e i membri della sua équipe sono sani e salvi, ma un uomo della sicurezza è stato ucciso e due civili feriti. Il regime di Khartoum considera da sempre il vescovo un ostacolo per tentativo di demoralizzare e cacciare la popolazione dei monti Nuba, ricca di risorse.

In una denuncia del 20 aprile, l’organizzazione Christian Solidarity Worldwide (CSW) ricorda l’art. 24 della Costituzione sudanese del 1998, che garantisce libertà di religione e di culto e assicura la coesistenza delle religioni. Il governo di Khartoum - si afferma - continua a perseguitare i cristiani sudanesi. Secondo CSW, il pastore evangelista tedesco Reinhard Bonnke doveva presiedere una celebrazione ecumenica il 10 aprile, nella Green Square di Khartoum. Nel 2000 egli aveva già organizzato una simile liturgia, e non si era verificato nessun incidente. Come di consueto, le chiese cristiane hanno versato alle autorità civili della capitale la somma di 2.400 dollari per l’affitto della piazza. Ma le autorità hanno insistito per un trasferimento, dirottando la celebrazione in un sobborgo abitato da fondamentalisti musulmani. Questi, prima della celebrazione, hanno sobillato la popolazione con sentimenti anti-cristiani, accusando il reverendo Bonnke di essere "uno stregone infedele e un blasfemo cristiano".

Data l’atmosfera di minacce, i leader delle chiese hanno deciso di annullare la liturgia, ma molti cristiani, ignari del fatto, si sono riversati nella Green Square, seguendo l’annuncio dato in precedenza. L’arrivo della polizia ha creato disordini: gli agenti hanno usato gas lacrimogeni e la forza per disperdere i cristiani. Alcuni hanno risposto con una sassaiola. Secondo un leader cristiano, "i poliziotti sembravano drogati, agivano come selvaggi, ansimavano e i loro occhi iniettavano violenza".

Durante la dura repressione, tre persone sono state ferite con colpi d’arma da fuoco e altre brutalmente malmenate. La cattedrale di "Tutti i Santi", dove numerosi cristiani erano riuniti per pregare, è stata seriamente danneggiata dagli attacchi della polizia. Molti gli arresti, almeno 105 persone. Due giorni dopo, il 12 aprile, 57 degli arrestati sono stati processati senza assistenza legale. Per 48 di loro la sentenza è stata di 20 frustate; 3 ragazzi e 6 donne hanno subito 5 frustate. Nel sistema vigente, la flagellazione è riservata a reati come consumo di alcolici o relazioni sessuali illecite. La pena comminata agli altri 48 cristiani è stata 20 giorni di prigione.      (Fides 20/04/2001)

..da Avvenire - Martedi 02 Aprile 2002
DENUNCIA Dalla libertà limitata alle condanne capitali, mappa delle violazioni musulmane dei diritti. Parla Khalil Samir
Cristiani: dove l'islam opprime
Egiziano con passaporto italiano, gesuita, docente universitario a Beirut: il Centro di Studi sull'Ecumenismo ha scelto uno dei maggiori esperti internazionali di islamologia, padre Samir Khalil Samir, per rispondere alle scottanti «Cento domande sull'islam», appena pubblicate da Marietti 1820 per la cura dei giornalisti di «Avvenire» Giorgio Paolucci e Camille Eid (pp. 224, euro 13). Un manuale (del quale pubblichiamo in questa pagina un estratto) in cui si trovano sia i fondamenti dottrinali e storici del credo musulmano, sia i problemi moderni: dalla condizione femminile all'immigrazione in Occidente, al terrorismo. La maggioranza dei non musulmani nei Paesi islamici è costituita oggi da cristiani: sono 90 milioni che vivono insieme a 900 milioni di musulmani. Qual è il grado di libertà religiosa che viene loro riconosciuto? «La situazione della libertà religiosa nell'islam è molto differente da Paese a Paese. Si va dal divieto di mostrare simboli religiosi sugli edifici o sul corpo (per esempio, la croce al collo) agli ostacoli frapposti alla professione e alla diffusione della fede, alla costruzione e ristrutturazione di luoghi di culto, fino al divieto di celebrare la messa persino in privato o di introdurre nel Paesi testi religiosi non musulmani. Le differenze dipendono in larga misura dal contesto politico, culturale e nazionale locale, nonché dalla tipologia della presenza cristiana. Ci sono, infatti, Paesi dove la percentuale dei cristiani è consistente, e altri dove è molto esigua (40-45% in Libano; 40% in Nigeria; 35% in Ciad; 8-10% in Egitto, Indonesia, Sudan; 8% in Siria; 4% in Iraq; 3% in Pakistan meno dell'1% in Turchia, Iran e Africa del Nord); Paesi dove viene applicata la sharia, altri dove l'islam è dichiarato religione di Stato, ed altri ancora che hanno optato per una certa laicità; Paesi dove il cristianesimo viene considerato una realtà autoctona, come in Egitto, Libano, Giordania, Iraq, Siria e Palestina, altri in cui risulta professato da comunità straniere, come nel Maghreb e negli Stati del Golfo. Lo Stato in cui si verificano le maggiori restrizioni alla libertà religiosa è l'Arabia Saudita, che vieta ogni culto che non sia musulmano perché ritenuta interamente "suolo sacro". Tra i sei milioni di lavoratori stranieri, almeno 600 mila sono cristiani e non possono celebrare il culto nemmeno in forma privata. La partecipazione a riunioni clandestine di preghiera, come pure il possesso di materiale non islamico (bibbie, rosari, croci, immagini sacre), comportano l'arresto e l'espulsione, o addirittura la pena capitale. Un altro caso di aperta discriminazione è quello del Pakistan dove i cristiani sollecitano da anni il ritiro della legge sulla blasfemia e la revisione della legislazione a impronta marcatamente islamica». L'islam vieta i suoi fedeli di passare a un'altra fede religiosa e la trasgressione di questo divieto comporta conseguenze molto gravi. Quali sono i fondamenti teologici e giuridici della norma e le sanzioni previste per chi la viola? «Nell'islam la libertà religiosa viene concepita anzitutto come libertà di aderire alla vera religione, che è l'islam, mentre il passaggio ad altre fedi è giudicato qualcosa di innaturale e quindi viene severamente proibito. I musulmani liberali sottolineano però che Maometto non ha mai chiesto di uccidere un apostata, e anzi è intervenuto in due occasioni per impedire ai suoi di farlo. Il ricorso alla pena di morte non sembra avere fondamenti islamicamente accettabili. Eppure esso si è storicamente affermato e negli ultimi decenni, parallelamente al cosiddetto "risveglio islamico", è tornato tragicamente d'attualità, perché i sostenitori delle correnti radicali hanno fatto pressione affinché chi abbandona l'islam venga severamente punito. Così alcuni Paesi hanno introdotto nella Costituzione o nel codice penale il reato di apostasia, cosa che peraltro è in evidente contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e che pure ripugna alla coscienza di molti musulmani». Quali sono i casi più famosi di condanne pronunciate nei confronti di apostati? «La vicenda dei Versetti satanici di Salman Rushdie e la condanna a morte decretata con una fatwa dall'ayatollah Khomeini nel 1989 è l'episodio più noto e ha probabilmente fatto da detonatore riproponendo il nodo dell'apostasia a livello mondiale, ben al di là dei pur estesi recinti della comunità islamica. Ma altre vicende hanno riportato la questione alla ribalta anche in anni recenti: ricordo la condanna nel 1995 del docente universitario Nasr Hamid Abu Zayd, o il caso della scrittrice Nawal al-Sadawi, portata nel 2001 in giudizio per apostasia da un avvocato islamista, nonostante le proteste di numerose organizzazioni femministe o di associazioni per la difesa dei diritti dell'uomo. Questi intellettuali sono riusciti ad evitare l'esecuzione della condanna. Meno fortunato è stato un altro intellettuale egiziano, Farag Foda, assassinato nel giugno 1992 da un commando radicale poco dopo essere stato dichiarato apostata dalle autorità religiose. Al processo contro gli assassini di Foda, lo sceicco Muhammad al-Ghazali, una figura molto nota per la sua moderazione, è venuto a testimoniare a favore della difesa e ha giustificato l'assassinio di Foda appoggiandosi alla sharia. Un altro attentato, questa volta fallito, ha avuto come obiettivo nel 1995 lo scrittore egiziano Naghib Mahfouz, 83 anni, il primo arabo ad essere insignito del premio Nobel per la letteratura (1988). Il suo romanzo Il rione dei ragazzi, scritto negli anni Cinquanta e ancora all'indice in Egitto, è considerato blasfemo da molti ed è stato la causa scatenante dell'attentato. C'è poi la vicenda della scrittrice bengalese Taslima Nasreen, costretta a vivere in clandestinità a causa delle minacce dei gruppi integralisti che chiedono che venga arrestata e messa a morte per blasfemia. Nel 1994, infatti, la Nasreen era stata accusata di "offesa alla religione", un reato previsto dal codice penale del Bangladesh, e ha perciò dovuto rifugiarsi in Occidente. Ma ci sono molti altri casi, meno noti all'opinione pubblica mondiale, che riguardano gente comune. Uno di questi è il caso di Mohammed Omer Haji, un profugo somalo di 27 anni residente nello Yemen, condannato a morte nel 2000 nonostante il suo status di rifugiato, perché si era convertito al cristianesimo insieme alla moglie. È stato torturato in prigione per costringerlo a rivelare i nomi dei suoi "complici" e ad abiurare la fede, ma invano. Alla fine, e secondo la prassi, il giudice ha dato a Haji una settimana per dichiarare, per tre volte, il suo formale ritorno all'islam, pena la morte. L'interessamento di alcune organizzazioni internazionali gli ha permesso di sottrarsi alle sanzione: attualmente egli vive insieme alla famiglia in Nuova Zelanda, dove gode di una forma di asilo "religioso". Non fu altrettanto fortunata nel 1994 la fine di 4 musulmani che si erano convertiti vent'anni prima al cristianesimo nella diocesi sudanese di Rumbek e diventati successivamente catechisti: vennero fustigati dalle forze di sicurezza governative e poi crocifissi per aver rifiutato di ritornare all'islam».
Giorgio Paolucci E Camille Eid

Giornale del Popolo Edizione del 04/04/2002
PERSECUZIONI - La drammatica testimonianza di un vescovo: «I cristiani vengono crocifissi e poi assassinati»

I silenzi dell'Occidente uccidono il Sudan
Schiavitù, minacce di morte, uccisioni, milioni di profughi. E il silenzio dei mass media che tacciono sulla situazione della popolazione del Sudan, «venduta e tradita dall'Occidente». L'unica voce che si alza è quella dei vescovi, che restano però inascoltati. Thomas Koetter, giornalista presso l'opera caritativa internazionale «Aiuto alla Chiesa che soffre» ha incontrato nella sede di Könisgstein, in Germania, monsignor Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid, in Sudan, che ha raccontato questa drammatica testimonianza.

Monsignor Gassis, corrispondono a verità le informazioni sulla persecuzione dei cristiani che ci giungono dal suo Paese? «Purtroppo sì. Le persecuzioni in Sudan avvengono sia per motivi religiosi che etnici. E principalmente sono dirette alla popolazione africana, non solo a quella del sud, ma a quella di tutto il Paese». Si sente anche parlare di schiavismo. «La schiavitù esiste davvero. I nostri bambini vengono portati via a forza dai soldati islamici che devastano interi villaggi, mettendo a ferro e a fuoco tutto quanto incontrano sul loro cammino e si portano via i bambini con il tacito assenso del governo di Khartum. In questa loro guerra che chiamano “santa” le persone vengono trattate alle stregua di un bottino di guerra, del quale disporre come meglio si crede. I bambini vengono radunati come bestiame e come bestiame vengono marchiati perché il loro “padroni” possano riconoscerli, nel caso venisse loro in mente di fuggire. Per le ragazze il destino non è migliore. Spesso vengono strappate alle loro famiglie, violentate e messe in cinta dai loro aguzzini. Anche l'infibulazione è un modo fisicamente e psicologicamente crudele attraverso cui i fondamentalisti segnano le donne: “appartenete all'Islam, per questo motivo occorre che sottostiate a questa pratica”. Perfino il precedente primo ministro sudanese Sadek al-Mahdi ha confermato queste terribili realtà». Nel 1999 fecero molto rumore anche in Occidente le minacce di crocifissione giunte al sacerdote cattolico Hilary Boma. «Aiuto alla Chiesa che soffre» e altre organizzazioni internazionali si mobilitarono allora con successo per la sua liberazione. Da allora ha sentito di altre minacce di questo tipo all'indirizzo di sacerdoti cattolici? «Uno dei miei catechisti fu minacciato dai fondamentalisti arabi. Gli ingiunsero di convertirsi all'Islam e quando egli si rifiutò, dopo averlo torturato, lo hanno crocifisso. Sopravvisse e continuò a lavorare come giudice di pace nel suo villaggio. Due mesi fa lo hanno assassinato». Anche lei subisce minacce e persecuzioni?
«Sì. Il solo fatto che io adesso non possa stare nella mia diocesi, nella mia Chiesa, in mezzo alla mia gente, mi fa capire quello che significa essere un rifugiato. Io non soffro lo stesso tipo di persecuzione di gran parte del mio popolo, ma ho chiara, dentro di me, la percezione di quello che esso sta subendo». Perché dinnanzi a tanto orrore il mondo tace? Perché nessuno alza la voce in favore di queste vittime innocenti? «I motivi sono diversi. Da un lato il regime di Khartum è molto abile nel tenere lontani i mass media dalla terribile realtà che il nostro Paese sta vivendo. Inoltre, occorre anche dire che ai mass media interessa prevalentemente il fatto sensazionale: a loro interessa il numero dei morti. Il conflitto in Sudan raramente conosce picchi di sensazionali, si tratta di una violenza continua, che si protrae nel tempo. Dall'inizio della guerra civile contiamo due milioni di morti e cinque milioni di profughi, e nessuno ne parla. Quando il regime fece dipendere la fornitura di aiuti alimentari dal fatto che la popolazione abdicasse alla propria religione, facendosi arabizzare e islamizzare, i media hanno taciuto. E quando noi, vescovi cattolici, abbiamo lanciato un SOS per via della minaccia di una carestia, la comunità internazionale non si è mossa. Quando poi decise di intervenire, la carestia era ormai conclamata e la catastrofe si era già consumata. Dov'erano i mass media in quella circostanza? Perché qualcosa si muova, occorre che la situazione in un Paese venga seguita nel tempo. La tenacia con cui viene seguito il conflitto israelo-palestinese o a suo tempo l'apartheid in Sudafrica, portano e hanno portato molto alle popolazioni coinvolte. Perché una simile attenzione non è possibile anche per il Sudan?»

Giornale del Popolo Edizione del 10/04/2002
Cieli aperti PERSECUZIONI di SANDRO VITALINI
Lo storico Giorgio Cheda scrive: «I libri di storia diventano meno noiosi nella misura in cui aiutano a chiarire problemi del passato con ancora una forte risonanza nel presente». Il libro degli Atti degli Apostoli ricorda le continue persecuzioni alle quali la Chiesa primitiva è sottoposta. Perché? Forse possiamo illuminare quei fatti alla luce delle persecuzioni di oggi. Sono così numerose che nemmeno più ne teniamo il conto, anche perché i mass media non le menzionano o, quando come in Nigeria i cristiani sono massacrati, parlano soltanto di «scontri interreligiosi». Ma non solo nei paesi dove domina il fondamentalismo islamico, come il Sudan, i cristiani sono perseguitati; anche in paesi come la Turchia essere cristiani è un rischio e convertirsi al cristianesimo significa la morte. Ma anche nelle Filippine il cristianesimo è perseguitato e persino nell'America del Sud, dove la Chiesa denuncia i crimini contro i piccoli e i poveri. Dobbiamo ammettere che il vangelo di Cristo è un segno che suscita opposizione perché sollecita l'uomo ad una scelta di vita così radicale che ogni forma di tenebra non la sopporta. Anche da noi l'indifferenza e il sarcasmo possono essere forme persecutorie scoraggianti. Soltanto se facciamo unità tra noi riusciamo a resistere.

IL RAPPORTO ANNUALE SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA NEL MONDO (da FAMIGLIA CRISITANA)
DOVE SI RISCHIA LA VITA IN NOME DELLA FEDE
La pubblicazione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo è diventato ormai un appuntamento fisso, ogni anno, per discutere sulle condizioni di vita dei credenti nei vari Paesi del mondo, frutto di una ricerca analitica su ogni Paese. Aiuto alla Chiesa che soffre è nato dopo la seconda guerra mondiale con lo scopo di aiutare i cristiani perseguitati dai regimi comunisti dell’Est. Oggi lavora in tutto il mondo e segue circa 6.000 progetti ogni anno. Il Rapporto mette in luce come la libertà religiosa sia ancora un grave problema in tante regioni del mondo. Lo è in India, dove una legge limita i diritti delle minoranze e dove vari Stati discriminano i cristiani. Il fondamentalismo indiano, che trova ascolto negli ambienti di Governo, fa sentire la sua forte pressione. La conversione ad altra religione è ostacolata.
In realtà, la scelta dei singoli di passare da una comunità religiosa (o dall’ateismo) a un’altra comunità religiosa (o all’ateismo) è parte integrante della libertà religiosa. Tale libertà è negata nella gran parte dei Paesi musulmani, dove, secondo la legge islamica, è possibile convertirsi all’islam, ma non è permessa (anzi, punita con la morte come apostasia) la conversione dall’islam a un’altra religione. È il caso del Pakistan, dove, tra l’altro, è in vigore la legge sulla blasfemia. Proprio il 2001 si è aperto con l’arresto di un prete e di un laico, accusati di aver partecipato a una manifestazione organizzata contro questa legge, per cui basta essere imputati di aver bestemmiato l’islam e si diventa punibili con la pena capitale.
Il problema della libertà religiosa è purtroppo universale: si ritrova sotto tante latitudini e per comunità religiose differenti. Ed è molto utile che Aiuto alla Chiesa che soffre richiami l’opinione pubblica a discutere del problema. Il Rapporto non è infallibile: ci possono essere esagerazioni o sottovalutazioni, ma l’importante è che i Governi siano chiamati a rispondere, sapendo che la loro politica in questo campo è sotto osservazione. In alcuni casi il Rapporto forse esagera in senso negativo, come in Mozambico, dove, tutto sommato, c’è una certa libertà religiosa. In altri, come l’Algeria, si resta piacevolmente sorpresi nel leggere che giovani di origine musulmana hanno avuto la possibilità di convertirsi al cristianesimo. In molti Paesi africani, la compressione della libertà religiosa è legata alla guerra civile, come in Angola, o ai conflitti etnici, come in Burundi. Per la Costa d’Avorio, dove si teme lo scoppio di un conflitto tra musulmani (del Nord) e cristiani (del Sud), il Rapporto segnala l’impegno dei leader religiosi, cristiani e musulmani, per il dialogo. Nei Paesi dell’ex Urss la situazione non è facile ovunque. In Turkmenistan, musulmano all’87 per cento, i cattolici possono compiere atti di culto solo nella nunziatura apostolica, coperta da immunità. Si sospetta che un cristiano battista sia stato condannato alla detenzione per la sua conversione al cristianesimo.
La vita dei cristiani è tutt’altro che facile in tanta parte del mondo, ben al di là del noto caso dell’Arabia Saudita, dove non è lecito ai cristiani nessun atto di culto. Il ’900 è stato il secolo del martirio (è il titolo di un lavoro che ho dedicato ai nuovi martiri del XX secolo). La nostra speranza è che il XXI secolo non ripeta gli stessi errori. Un’attenzione vigile ai problemi della libertà religiosa rende i Governi consapevoli che non possono calpestare questo diritto. Dove non c’è libertà religiosa, anche tutte le altre libertà finiranno per cadere.
Andrea Riccardi

I nuovi perseguitati di don Giorgio Paximadi (A HREF="http://www.caritas-ticino.ch/Riviste/elenco%20riviste/riv_0204/Rivista%20N4%202002.htm">Da Caritas set.ott.02)

Se in 2 millenni sono stati calcolati circa 70.000.000 di cristiani uccisi per la loro fede, ben 45.500.000 (circa il 65%) sono martiri del XX secolo
Se questi dati sono veri, e provengono tutti da agenzie specializzate e da fonti che siamo abituati a definire “autorevoli”, ed abbondantemente citate dal libro di A. Socci I nuovi perseguitati, che sta facendo parlare di sé in queste settimane, non si può che rimanere perplessi. Ci si potrebbe aspettare che la comunità internazionale passi il suo tempo a chiedere scusa ai cristiani per questo evidente tentativo di farli scomparire dalla faccia della terra; che si intentino cause miliardarie per far restituire ai colpevoli almeno parte dei proventi sanguinosi di tanta strage.

Certamente, penseremmo, di un così grande orrore sono pieni i libri di testo delle scuole; i bambini, fin dalle elementari, ne sono edotti; si insegna loro a deprecare le ideologie che hanno portato a tanto; ad ammirare la forza d’animo di coloro che hanno subito la morte per non rinnegare ciò in cui credevano. Poi ci guardiamo intorno: nelle nostre città (almeno quelle italiane), piene di “Vie Martiri della Libertà” e di “Piazza Matteotti” (tutte persone rispettabilissime e degne del più grande onore, ben s’intende), dove sono i “Viali Martiri cristiani della Rivoluzione messicana”? Mentre il nome sinistro di Auschwitz è e rimarrà – giustissimamente – sinonimo di obbrobrio per qualsiasi essere umano, se qualche consiglio comunale decidesse di intitolare una piazza, che so io, “Piazza Solovki”, chi saprebbe che in questo lager sovietico – prima della rivoluzione uno splendido monastero – furono uccise in modo bestiale decine di migliaia di persone per il solo delitto di professare la fede in Cristo? La cosa è nota, notissima, ma solo agli specialisti. I bambini, della storia della Chiesa, devono conoscere solo le leggende nere, crociate, inquisizione e quant’altro, frutto spesso anch’esse, almeno nel modo in ci vengono normalmente presentate, di una storiografia lontana dall’oggettività e dalla comprensione storica. Ma del gran macello dei cristiani nel secolo appena concluso, nulla: tutto coperto, velato; non è trendy parlarne in società. Si rischia di passare per oscurantisti, contrari al dialogo (soprattutto se si tratta di vittime morte per mano islamica). E quando ti dicono, con un’espressione tra il sorpreso e il disgustato: “ma allora… tu non vuoi il dialogo!!!”, l’unica possibilità è coprirsi il capo di cenere e tacere, rossi di vergogna. Ce n’è uno, a dire il vero, che non ha mai avuto il problema di essere trendy ed ha sempre avuto il coraggio di dire le cose chiaramente. Il papa non si è mai fatto scrupolo del fatto che certe beatificazioni e canonizzazioni (e probabilmente siamo appena all’inizio), fossero poco simpatiche ai mass media, come quelle dei martiri del Messico o di quell’altra grande mattanza di cristiani che fu la guerra civile spagnola. Ma, si sa, il papa è vecchio e ormai non capisce più niente. E poi ha sempre avuto la “canonizzazione facile”, dicono certuni che, pur di sparare sulla Chiesa, non esitano ad assumere le vesti dei puristi, e a lodare quel buon tempo antico in cui questi riti erano un evento assolutamente eccezionale.
Una voce a denuncia delle tragedie cristiane
Il libro di Socci che vorrei presentare all’attenzione dei nostri lettori, è un contributo, scarno ed essenziale, ma ben documentato, su questo sconcertante problema: la censura assoluta – in campo tanto laico che cristiano – su questo angoscioso ma anche glorioso capitolo di storia della Chiesa. Paradossalmente si potrebbe credere che, dopo la caduta del comunismo in Europa (la precisazione “in Europa” è necessaria, visto che in altre regioni del mondo quest’ideologia sanguinaria è viva e vegeta, e comunque in numerosi parlamenti europei continuano a sedere, e con non poco peso politico, persone che si fregiano di tale titolo), siano venute meno le motivazioni per tacere della strage dei cristiani, comunque ancora in corso in modo massiccio. Invece, come sottolinea Socci “l’indifferenza di tanti – specialmente del ceto intellettuale – è divenuta quasi insofferenza negli anni Novanta, nei quali – caduto il comunismo in Europa – ci si è convinti che definitivamente fosse venuto meno il martirio della Chiesa”. Vale la pena di riportare alcune delle cifre fatte da Socci, per invogliare ad approfondire un argomento tanto sconvolgente, precisando che lo studio citato da Socci (la World Christian Encyclopedia, della Oxford University Press) non intende “martire” nel senso stretto di “persona canonizzata come tale”, ma piuttosto come “un credente in Cristo, in una situazione di testimonianza, che perde la sua vita prematuramente come risultato dell’ostilità di altri uomini”.
Martiri nel XX secolo (1900-2000): 45 milioni e 400 mila.
Martiri dal 1950: 13 milioni e 300 mila.
Media annuale dei martiri dal 1950: 278 mila all’anno.
Martiri degli anni recenti: 171 mila all’anno.
Martiri del 2000 (l’ultimo anno del secolo): 160 mila.
Nel libro di Socci vengono passate in rassegna le principali stragi commesse a danno dei cristiani nel XX sec., a partire da quella della rivolta dei Boxers, in Cina proprio nei primi mesi del secolo (il papa ha recentemente inserito nel calendario universale – alla data del 9 luglio – la memoria di S. Agostino Zhao Rong e compagni, martiri, nella quale si celebrano i 118 martiri di questa persecuzione finora canonizzati, ma il numero totale dei morti fu più di 30.000), per passare al genocidio degli armeni perpetrato da quella Turchia che ora desidera l’ingresso nell’Unione Europea (circa un milione e mezzo di morti), alle allucinanti barbarie della rivoluzione messicana e della guerra civile spagnola. Il nazismo, è noto, si macchiò anch’esso di persecuzioni gravissime ai danni della Chiesa, e le figure di S. Massimiliano Kolbe e di S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) sono lì a ricordarcelo, come capifila di una schiera di numerosi cristiani (6400 circa solo gli ecclesiastici) uccisi in quanto seguaci di una fede considerata “prodotto giudaico”. Il comunismo, con i suoi milioni di cristiani uccisi per la fede, è stato – ed è – così sanguinario che risulta difficile negarlo anche ai minimalisti più accaniti. Ma certamente il capitolo di attualità più scottante è quello delle persecuzioni nei confronti di cristiani attuate da mani islamiche.
Per una reale presa di coscienza
Certamente può spiacere, nel metodo adottato da Socci, il fatto che egli citi i versetti del Corano più violenti sulla guerra santa verso gli infedeli; “il Corano – si dirà, e giustamente – contiene anche appelli alla misericordia ed alla tolleranza”. Tuttavia occorre dire chiaramente che questi testi esistono, ed hanno grandissima influenza sul pensiero islamico. In altri termini, se è impossibile fondare un obbligo alla guerra santa basandosi sul Vangelo, quest’operazione risulta grandemente facilitata se si prende il Corano come scritto ispirato. In ogni caso da un lato il problema della compatibilità dell’islam con il sistema democratico è gravissimo, dall’altro si leva sempre più alta la voce dei cristiani oppressi, torturati ed uccisi in moltissimi paesi musulmani. E tutto questo purtroppo accade, ancora una volta, senza suscitare alcuna reazione da parte di molte organizzazioni cristiane, che, in nome di un malinteso dialogo, finiscono per non rendersi conto del pericolo ormai sovrastante. La documentazione addotta da Socci su questo argomento è davvero impressionante, non tanto sul problema delle stragi contro i cristiani (il caso del Sudan, su cui vengono addotte testimonianze raccapriccianti è gravissimo e purtroppo non isolato), quanto sull’atteggiamento irenistico, irrealista e pavido che molte élites cristiane – ed anche le organizzazioni internazionali – assumono quando si toccano questi fatti. Semen est sanguis Christianorum – “il sangue dei cristiani è seme di nuovi cristiani”, diceva uno scrittore antico. Il martirio, che la tradizione antica considerava la “via facile” a confronto con la rude ascesi monastica, non spaventa dunque il cristiano. Il parlare dei martiri del XX secolo non è perciò fonte di disperazione, ma anzi di speranza: testimonia la vitalità di quella fede nata da un Uomo torturato ed ucciso perché testimoniava il suo rapporto con il Padre. Raccontare dei martiri è dunque un modo molto efficace per riprendere le ragioni della nostra fede. Se infatti a noi cristiani d’occidente è risparmiata la testimonianza del sangue, almeno per il momento, ciò accade perché noi possiamo trarre dalla testimonianza dei fratelli che soffrono un motivo in più per apprezzare quella fede che abbiamo ricevuto con il Battesimo e che è troppo spesso solo un dato sociologico. Il martirio dei fratelli è dunque un dono grande che lo Spirito ci fa.

«Noi cristiani,in fuga dal Sudan che ci perseguita» (Avvenire 14.11.2002)
Parla Kuong, 27 anni, studente in Italia: da noi i musulmani perpetrano un genocidio di cui non si parla
Di Lucia Bellaspiga
Un "cane infedele": è con lui che abbiamo appuntamento in stazione Centrale, a Milano. Perché questo è per la legge sudanese Kuong Daxi, un cane infedele. Di etnia Nuer, 27 anni, fa parte di quel popolo in fuga che sono i cristiani del Sudan meridionale, 5 milioni tra cattolici e protestanti (il 16% della popolazione) in un mare di islamici votati al jihad, la guerra santa. «Nel mio Paese è in corso la più grande strage del secolo, ma nessuno ne parla - dice già mentre ci stringe la mano -: sono 2 milioni le vittime del genocidio con cui il nord islamico, sta sistematicamente annientando il sud, ma Europa e America tacciono». Due milioni di persone trucidate nella più generale indifferenza.
Sono tanti in stazione i neri d'Africa, ma Kuong, alto e fiero, è l'unico Nuer: «Vede? Questo segno ci distingue: sei lunghi tagli incisi sulla fronte col coltello quando compiamo 15 anni». Un rigo musicale che Kuong porta con dignità, come una corona. E spiega: il Sud an è il Paese più grande di tutta l'Africa e la guerra che vi si combatte è la più lunga del Novecento, ma nessuno se ne accorge. «Eppure è rumorosa, fatta di bombardamenti quotidiani, deportazioni in massa, torture, stupri, compravendita di schiavi». E di bambini rapiti e mandati a combattere la loro stessa gente: «Il regime di Karthoum ha deciso la scientifica eliminazione di tutti gli abitanti del sud, colpevoli di due "crimini": siamo cristiani e abitiamo una regione ricca di petrolio. Bisogna fare piazza pulita e ogni mezzo è valido». È per questo che i suoi due nipotini, 10 e 12 anni, figli dei suoi fratelli, lo scorso aprile sono spariti nel nulla, portati via in piena notte dai soldati del nord. Oggi mancano all'appello, come altri 200mila: con la complicità di locali capi corrotti i bambini e le bambine vengono venduti alle ricche famiglie arabe, o addestrati a combattere. «Le bambine sono violentate e fatte schiave. I bambini mandati alle armi. Ed entrambi sono costretti a st ud iare il Corano». Solo i missionari e i volontari delle organizzazioni umanitarie si oppongono, a rischio della vita: «Ricomprano migliaia di bambini e li restituiscono alle famiglie. Anche i miei fratelli vorrebbero pagare il riscatto per i loro figli ma io penso che non sia giusto: finché staremo al ricatto non saremo mai liberi. Invece conosciamo il generale corrotto che li ha venduti ed è su di lui che dobbiamo agire per avere giustizia».
Anche tra gli adulti la mattanza crea il vuoto. «C'è una sola speranza di scampare alla strage: convertirsi alla fede di Allah». È per questo che Kuong, iscritto alla facoltà di Farmacia a Pavia, dal 1994 si trova in Italia: «Non per ragioni di studio, per laurearmi bastava Karthoum, ma perché sono nato cattolico e tale voglio restare». Era infatti iscritto all'università di Karthoum, finché la dittatura si è fatta più feroce: «Le autorità hanno convocato 50 studenti, tutti cristiani, e ci hanno comunicato che, per continuare l'università, dovevamo abbracciare l'islam. Tutti abbiamo rifiutato e ne abbiamo pagato le conseguenze: io sono stato arrestato dalla polizia segreta e tenuto in isolamento per quattro giorni. Mi accusavano di avere legami con persone straniere, visto che ero cattolico, volevano i nomi di chi ci aiutava. "Parla o ti ammazziamo", mi dissero. Risposi di uccidermi senza chiedermi nulla. Dovettero lasciarmi andare».
Kuong scrisse al consiglio di facoltà una lettera, che lui stesso ci traduce: «Siamo cristiani, non possiamo patire che ci priviate del nostro credo. Nella vita la cosa più importante è la fede in Dio. Noi non siamo nemici dell'islam, rispettiamo la fede di tutti, ma chiediamo che anche voi rispettiate la nostra». Seguì la feroce reazione della polizia segreta, la sospensione dall'università, il rastrellamento di casa in casa. «Per il loro bene consigliavo ai miei amici, alcuni anche islamici, di non farsi vedere in giro con me - racconta Kuong -: uno di loro non mi diede retta e si fece 8 mesi di galera». Normale in un Paese in cui la Corte Suprema di recente ha stabilito che la crocefissione per chi si converte al cristianesimo è costituzionale. E la galera di Karthoum è di quelle che lasciano il segno, nella carne e nell'anima. «Mi ha salvato un frate italiano, di cui non farò il nome per non metterne in pericolo la vita - continua il giovane -: ha scritto all'ambasciata italiana di Karthoum e il vostro governo - era il 1994 - accolse tredici di noi. Gli altri lasciarono gli studi o accettarono di farsi islamici. Oggi siamo rimasti in cinque, gli altri non hanno passato gli esami e hanno perso la borsa di studio. Io a dicembre sarò laureato e tornerò in Sudan». A curare la sua gente o a imbracciare le armi, dipende: «Odio la violenza, non ho mai fatto male a nessuno, ma la nostra è una lotta per la libertà: la libertà di sopravvivere, di riavere i nostri bambini, di pregare Dio».

In un volume dell'americano Robert Royal il lunghissimo martirologio cristiano del ventesimo secolo (GdP 10.12.2002)
Novecento: un fiume di sangue versato di Luigi Maffezzoli
Quando negli anni Sessanta il rumeno Iuliu Hirtea fu consacrato vescovo, era il prelato più giovane al mondo. Perseguitato, arrestato e deportato dal governo comunista, ebbe modo di dire: «Non siamo noi la Chiesa del silenzio. Lo siete voi, Chiesa occidentale, che non parlate mai di noi!». A riportare questa testimonianza, davanti ad un'affollata platea riunita al Pime di Milano, è stato lo scrittore e giornalista americano Robert Royal, autore del volume «I martiri del ventesimo secolo», (giunto negli USA alla terza edizione) ora tradotto e pubblicato in italiano dalla milanese Editrice Ancora.
Royal - che durante il suo recente breve soggiorno in Europa è stato anche in Ticino, dove ha incontrato gli studenti della Scuola americana di Montagnola - ha il merito di avere per primo ripercorso, con rigore storico e documentazione inappuntabile, la drammatica scia di sangue versato in tutto il mondo nel solo ventesimo secolo da coloro che sono stati uccisi «in odium fidei». Per il solo motivo, cioè, di professare e testimoniare la propria fede in Cristo. Si tratta infatti - come ha sottolineato il direttore di Mondo e Missione, Gerolamo Fazzini - del primo libro a riportare in modo documentato le figure dei martiri del ventesimo secolo al quale, occorre ricordare, è poi seguito il lavoro dello storico Andrea Riccardi «Il secolo del martirio», pubblicato anch'esso nel 2000 (da Mondadori). «Centinaia di migliaia, forse milioni di persone in tutto il mondo - scrive Royal nell'introduzione alla sua opera - furono messe alla prova fino al martirio. In numeri assoluti, i martiri di questo secolo superano di molto quelli di ogni secolo precedente. Una gran parte di essi, forse la più grande, è cattolica».
Cifre impressionanti, soprattutto se si pensa che in alcuni Paesi, in pochi mesi, sono scomparse intere generazioni di cristiani. Tra questi centinaia di preti e di vescovi. «Una persecuzione tanto più violenta - ha sottolineato l'autore durante il suo intervento - quanto più legata alla ricerca dell'“uomo nuovo” in nome di una ideologia. In Albania, primo Stato ateo nel mondo - ha poi esemplificato - quando si è cancellata la storia cristiana, si è cancellata la cultura, la tradizione e la storia dell'intero Paese». Eppure, se non ci fosse stato Giovanni Paolo II che in vista del Giubileo del 2000 volle celebrare i martiri dell'ultimo secolo del secondo millennio (dando un salutare «scossone» alla Chiesa) di queste figure di cristiani forse nessuno se ne sarebbe ricordato. Eccola la Chiesa del silenzio di cui parlava il giovane vencovo rumeno. «Una dimenticanza della storiografia attuale - ha affermato Royal - che ha toccato la stessa Chiesa», nonostante il martirio «sia connaturato con la fede cristiana e con la storia della Chiesa».
Impressionante in questo senso, l'analogia con i primi anni del cristianesimo. Quelli, tanto per intenderci, che nell'immaginario collettivo si pensava fossero gli unici anni delle persecuzioni contro i seguaci di Cristo. L'analogia riguarda anche il modo in cui venivano uccisi, massacrati o trucidati i cristiani. Anche nel Novecento, infatti, in alcuni casi i credenti vennero dati in pasto alle belve davanti alla folla. Come nella civilissima Spagna, per esempio, dove questa sorte toccò ad alcuni preti «in una parodia blasfema e perversa che si rifaceva ai primi martiri cristiani nel Colosseo». O ancora, uccisi in corride colpiti a morte dai tori, tagliando ed esponendo come un trofeo le orecchie dei cadaveri umani.
Gente comune che in una situazione particolare mostrarono il coraggio della loro fede Persone buone e ordinarie, non super eroi
«Non era deprimente - è stato chiesto allo storico Royal - studiare tutti questi morti?». «No - è stata la sua risposta - Mai passato tanto tempo in vita mia con così tante persone buone». I cosiddetti martiri, infatti, possono essere immaginati come persone assolutamente fuori dalla normalità. Persone eccezionali, eroiche, inimitabili. Invece - questa la scoperta, pagina dopo pagina - non erano altro che persone normalissime, «sostanzialmente ordinarie», con una famiglia normalissima e un'attività normalissima. Erano però «persone buone, oneste». Divenute straordinarie perché si sono trovate a vivere situazioni straordinarie.
«Sotto questa superficie di normalità - racconta l'autore - la formazione che hanno ricevuto ha lavorato al punto da trasformarli in eroi». E, al momento di morire, perdonavano chi li stava per uccidere: «Un caso unico! Nessun altro gruppo di perseguitati lo ha mai fatto». Il volume scritto da Royal non ha assolutamente nulla di apologetico. «Ho cercato in tutti i modi di attenermi alla realtà storica, perché è più che sufficiente scrivere i fatti. Eppure - confessa - non si può non riconoscere che l'origine dell'eroismo di queste persone sta nell'origine divina». Descrivere semplicemente i fatti significa anche contraddire le «bugie che vengono raccontate sulla Chiesa».
Un esempio su tutti: la Chiesa cattolica sotto il nazismo. «Quando il nazismo sale al potere nel 1933, in Germania ci sono 24 mila preti. Di questi, più di 8 mila sono stati arrestati, deportati, uccisi. La maggior parte di loro a Dachau. Non tutti i preti, naturalmente, si sono opposti al nazismo. Ma è un dato di fatto che almeno un terzo di loro abbia attirato l'attenzione della Gestapo al punto da essere eliminati». Scorrendo però la geografia di sangue raccolta nel volume, ci si accorge che la maggior parte dei cristiani eliminati provengono dai Paesi dell'area comunista. Si parla di cento milioni di vittime, molte delle quali cattoliche. Non che lì, necessariamente, vi sia stata una persecuzione maggiore o più cruenta.
Semplicemente è stato possibile raccogliere una maggiore documentazione. «Dire che in Messico c'erano molti più martiri che in Salvador o in Brasile, significa solo che in altri Paesi manca una documentazione per testimoniarlo». Gli storici stessi, per diversi motivi non ultimo quello di una volontà di dialogo col mondo, secondo lo spirito del Vaticano II e della nuova impronta lasciata da Giovanni XXIII, non si sono accorti dei motivi all'origine della tragedia che si consumava sotto gli occhi dei nostri contemporanei. «Nel mondo moderno, morire per una fede è una categoria di pensiero che non esiste. Così, non riconoscendolo, siamo diventati più poveri».
«Non immaginavo in Europa brutalità così sconvolgenti»
Cosa ha spinto un giornalista come Robert Royal - che scrive per testate di prestigio come «The Wall Street Journal», «Washington Post» e «National Review» - ad abbandonare i suoi lavori in corso per dedicarsi a questa ricerca sui martiri? «Sono rimasto molto sorpreso - ha spiegato - quando ho incontrato per la prima volta la vicenda di questi martiri. Non immaginavo, io americano, che ci fosse questa carneficina nel cuore dell'Europa, nel secolo della civiltà, della scienza, della tecnologia, dei diritti umani. Queste brutalità, per uno storico laico americano, è sconvolgente. E' infatti scomparsa la coscienza dei martiri, non la realtà del martirio. Per questo, e soprattutto per rendere giustizia a queste persone innocenti, morte eroicamente, ho iniziato la mia ricerca. Nessun altro gruppo sociale, nel ventesimo secolo, è stato dimenticato come i martiri cristiani». Vi sono tre elementi, riassume l'autore, che hanno portato anche il Papa ad insistere e rilanciare la testimonianza dei martiri del Novecento: uno storico; uno attuale; uno profetico. «Occorre innanzitutto, cioè, fare giustizia della memoria. Poi, occorre ricordare che la questione è attuale: le persecuzioni e i martirii continuano tuttora nel mondo. Infine - anche vedendo l'esperienza della Germania diventata da Paese civile a Reich in preda alla brutalità nazista - riconoscere che la realtà può cambiare subitaneamente».
Una geografia del terrore lunga cent'anni di Bernardo Cervellera
Il Novecento, iniziato con la rivoluzione dei Boxers in Cina, è proseguito con il genocidio degli armeni ad opera dei turchi, le persecuzioni anticlericali (massoniche e social-comuniste) in Brasile, Messico, Spagna, la persecuzione nazista in buona parte dell'Europa; il comunismo in URSS e nell'Europa dell'Est. In Africa le persecuzioni sono state provocate da gruppi etnici (come nella regione dei Grandi Laghi, in Nigeria, nell'Africa Centrale, nel Corno d'Africa); da fondamentalismi religiosi (Algeria, Libia, Egitto, Sudan...); da guerre ideologiche o di potere (Congo-Brazzaville, Angola, Sudafrica, Mozambico, Madagascar, Zimbabwe, Etiopia).
In Asia alle persecuzioni dettate da fondamentalismi religiosi (India, Indonesia, Filippine, Pakistan, Siria, Irak, Libano, Arabia Saudita) si sono aggiunte le persecuzioni di matrice marxista (Cina, Vietnam, Laos, Cambogia, Corea del Nord, Myanmar). Perfino l'Oceania, con la Papua Nuova Guinea o l'Irian Jaya (negli anni '40 e attualmente), non è fuori dal quadro geografico a 360 gradi dei martiri del XX secolo!
Ebbene il fiume di sangue cristiano che bagna tutto il secolo trascorso trova nei libri di storia e nei mass media solo qualche cenno o uno scarno ricordo. Questa aridità nel ricordare dipende da un fatto preciso: i martiri del XX secolo sono vittime delle ideologie stataliste, immanentiste, razziste, secondo cui l'uomo è solo un elemento da sacrificare alla società nuova, al potere politico celebrato come padrone assoluto di tutto l'individuo, dal quale cancellare qualunque riferimento al divino; motivo per cui tra esse si comprende l'integralismo islamico, sempre iconoclasta, sempre distruttivo di ogni «immagine di Dio» nell'uomo. Per questo il cristianesimo è stato guardato con sufficienza, come un rifiuto della storia, un ostacolo al vero progresso, giustificando ogni morte. E anche oggi, nel secolo del crollo delle ideologie, è rimasta questa specie di tic che guarda con sospetto il martirio cristiano poiché mette troppo in crisi gli ideali settari di poco tempo fa.

Martiri Antichi e Moderni